sabato 8 maggio 2010

IL BATTESIMO DEGLI INFANTI




tra pluralismo sociale e ritualità
di Carlo Siracusa

Postfazione al libro di Francesco Arduini

In questa esposizione, Francesco Arduini ha presentato ai lettori un’analisi storica elaborata con dovizia di particolari, partendo dal pensiero della primitiva comunità cristiana, passando attraverso la patristica, e percorrendo le sue tappe evolutive, sino all’affermazione del battesimo degli infanti, come rito di iniziazione e accesso alla vita sociale, al popolo e alla chiesa.
Un lavoro dove traspare equilibrio, obbiettività e intelligenza, caratteristiche necessarie per uno storico che sa rinunciare alla tentazione di fare apologia, limitandosi a raccontare i fatti, lasciando al lettore il compito di trarre le proprie conclusioni.
La questione del pedobattesimo è oggetto di analisi anche in ambito sociologico, nello studio dei fattori che determinano l’attuale crisi che sta interessando il mondo ecclesiale e la Chiesa in generale. In un contesto di pluralismo religioso e secolarizzazione – che interessa non solo a livello nazionale, ma abbraccia la realtà globale, europea, internazionale – si cerca di capire quali siano gli elementi esogeni o endogeni che hanno determinato il crollo di tutti gli indicatori.
L’analisi statistica è un metodo d’indagine indispensabile nello studio dei fenomeni sociologici, e questa evidenzia un calo sensibile nelle celebrazioni dei “riti di passaggio”.
Il tasso delle prime comunioni e delle cresime è in costante diminuzione. Su mille cattolici, nel 1991 ricevevano la prima comunione il 9,93%, nel 2006 l’8%. I cresimati del 1991 furono l’11,07% su mille, nel 2006 solo l’8%. Anche i matrimoni rientrano fra i ‘sacramenti’ in crisi: si è passati dall’82,53% dei matrimoni concordatari celebrati nel 1991, al 66,30% del 2006. A questi dati, aggiungiamo quello che ci interessa in questo contesto: il calo significativo dei battesimi. Soltanto in Italia, dal 1991 al 2007 si è registrato un calo pari al 18%, passando dai 515.240 battesimi del 1991, ai 437.544 del 2007. (*)
Tra le motivazioni addotte, vi sono: il calo delle natività, l’aumento dell’ateismo, dello gnosticismo, la diffusione di altre religioni, la crescita dell’immigrazione, l’aumento dei matrimoni misti con persone appartenenti ad altri culti, l’aumento delle convivenze, delle nascite fuori del matrimonio, e il fenomeno positivista di ‘secolarizzazione’, (una progressiva riduzione del ‘sacro’) attraverso la quale la religione subisce un processo di trasformazione che via-via porta alla perdita della forza e della rilevanza che questa ha nella società. Il mutamento dei valori, insieme alla relativizzazione dei modelli, influiscono sul sistema tradizionale, generando una trasformazione irreversibile, che induce alla critica, all’abbandono e al graduale declino religioso. In contrapposizione alla secolarizzazione, tuttavia, si assiste a un’inversione di tendenza verso un bisogno: il risveglio della dimensione religiosa, dimostrato dal fiorire di nuovi movimenti. Qualcosa è cambiata!

È vero che la nostra società riflette ancora il carattere nichilista della filosofia di Nietzsche, ma nella sua coscienza, tende verso la rivincita di Dio, verso un ritorno al senso religioso. Vi è un’ampia porzione della popolazione italiana, difficile da determinare nella sua reale dimensione quantitativa, la quale, pur non appartenendo a una denominazione religiosa, sostiene di credere. Qualcuno si considera cristiano o cattolico “non praticante”, altri dicono di essere credenti, ma “a modo proprio”, manifestando un’aspirazione verso il sacro, pur non appartenendo ad una precisa confessione. Poi vi sono le spiritualità orientali, che continuano a esercitare il loro fascino, specialmente nelle giovani generazioni, attratti dalla ‘saggezza antica’, dalla sacralizzazione del Sé, e dai vari metodi di concentrazione che aiutano a rifuggire lo stress della modernità.
Se la logica paradigmatica individuasse nella secolarizzazione la causa della crisi dei battesimi – e di tutte quelle altre forme di ritualità sacramentale presenti nel cattolicesimo – vedremmo anche le altre denominazioni cristiane soffrire per la secolarizzazione. Ma questo disorientamento sta interessando principalmente la religione maggioritaria. Evidentemente, la causa di tale “crisi” è data da altri fattori. Forse i fedeli si sentono disorientati per la mancanza di punti di riferimento precisi, o perché quei principi e quei valori che un tempo caratterizzavano il profilo distintivo della religione cattolica, hanno lasciato il posto a una coscienza lassista, generando confusione, spesso a causa della facilità con cui è permesso aderire o appartenere, pur senza identificarsi, senza dover vivere totalmente questa appartenenza. Non sorprende, dunque, come mai, pur restando la religione di maggioranza, considerato il numero di appartenenze, la frequenza alle funzioni cattoliche vede solo uno scarso 15% dei battezzati.
Anche se la Chiesa tradizionale presenta dati in sensibile calo, questo non è inversamente proporzionale all’aumento degli atei o degli agnostici, perché nuove forme di sacro aumentano, e la domanda di senso religioso resta costante.
Non è, infatti, la percentuale di chi sostiene di credere in Dio ad esser diminuita, piuttosto molti sono spinti a ricercare risposte al proprio bisogno di spiritualità, rivolgendosi ad altre denominazioni, cambiando fede, motivati da una insoddisfazione verso l’offerta, alla ricerca di una dimensione tutt’altro che progressista e secolarizzata, vista la tendenza a rivolgersi ai movimenti che propongono un ritorno ai valori tradizionali, all’integrità, all’escatologia e alle ‘origini’ di un cristianesimo più puro e più vicino alla ‘verità’. È questo ciò che sembrano ricercare coloro che lasciano la Chiesa, spesso non riconfermando con la comunione o la cresima, quel rito battesimale imposto in buona fede dai propri genitori.

Un ruolo importante in questa evoluzione della spiritualità, l’ha giocato il pluralismo culturale, etico e religioso presente nel nostro Paese. L’evangelizzazione promossa dalle religioni minoritarie, ad esempio, ha contribuito a sollecitare la ricerca del sacro, la conoscenza del vero, svegliando le coscienze e sviluppando un maggiore interesse verso lo studio e l’approfondimento teologico, anche da parte di laici e ‘non addetti ai lavori’. Un tempo si imparava il catechismo a distanza di anni rispetto alla celebrazione del rito di iniziazione, il battesimo; oggi invece, si preferisce imparare, … e poi celebrare, alla maniera dei cristiani del primo secolo. Oggi giorno, in ogni casa è facile trovare una o più versioni della Bibbia, e la semplicità e la scorrevolezza del linguaggio delle moderne traduzioni, ha portato molti al “fai da te”, nella ricerca della conoscenza del sacro, trovando l’interpretazione o la chiave di lettura della corrente protestante, evangelica o di altre denominazioni cristiane, più onesta e meno carica di accostamenti al paganesimo.
Questo ha fatto sì che, gran parte dei simboli e delle forme religiose tradizionali, perdessero la loro forza di richiamo, portando di conseguenza a una rivalutazione del segno del battesimo, riscoprendolo secondo il suo significato biblico, e preferendolo a quello tradizionalistico. Il battesimo degli infanti ha, comunque, un suo valore intrinseco più a livello sociale e civile, che religioso. Basta notare l’atteggiamento di gran parte di coloro che, pur dichiarandosi non credenti, o addirittura “atei”, battezzano comunque i loro bambini, perché questa pratica è ritenuta “normale” e “necessaria”, in quanto favorisce l’integrazione sociale. In un Paese dove la religione di maggioranza è quella cattolica, si sente la necessità di continuare a battezzare i bambini, non tanto per il valore religioso che ha in sé il battesimo, ma per un fattore legato alla tradizione, divenuto ormai una consuetudine iniziatica, quasi folcloristica. A ragion di causa, Emile Durkheim (1858-1917) definì la “religione”: un fatto sociale nella sua origine, nella sua natura e nella sua finalità. Qualcuno può anche giustificare il pedobattesimo dicendo che, trattandosi di un’antica ritualità, è ormai divenuto parte integrante della tradizione cristiana.
Quando però consultiamo le statistiche relative al numero dei cattolici battezzati, i dati risultano falsati, perché non si ha un risultato reale della percentuale degli italiani che sono cattolici per “scelta” o “convinzione”, ma ciò che viene fuori è il numero di quanti sono entrati a far parte di una società prevalentemente cattolica. Così, quando si dice che quella persona è un ‘cristiano’ o un ‘cattolico’, questo non potrà intendersi come orientamento religioso scelto, deciso o voluto in maniera consapevole e matura, ma sarà solo una voce in più nel proprio stato anagrafico, frutto di una coercizione sociale. Battezzare un bambino non consapevole del significato che avrà quel battesimo quando sarà grande, può risultare diseducativo e dannoso, perché ciò che ne consegue – qualora quel bambino divenuto adulto decidesse di sbattezzarsi o ribattezzarsi secondo il rito di un’altra denominazione – sarà più traumatico e doloroso che non essere mai stato battezzato, perché quel gesto apparirebbe come il rinnegamento di una fede mai sposata o scelta volontariamente. Sarà come fare uno sgarbo ai propri genitori, come rinnegare la propria famiglia, con tutte le conseguenze annesse e connesse, anche a livello sociale.

Il teologo riformato Karl Barth, (1886-1968) affrontò il tema del pedobattesimo e ne parlò come di una sorta di “compromesso” fatto dalla Chiesa con la società. Secondo Barth, l’individuo che riceve il battesimo, non può essere un “oggetto passivo”, piuttosto dovrà essere un “libero partner di Gesù Cristo; … che dichiara personalmente la sua volontà e la sua disponibilità”.
Questo presuppone che il battesimo venga fatto quando la persona è già sufficientemente adulta, in grado di poter decidere in piena libertà e consapevolezza, senza che nessuno – né i propri genitori, né tanto meno la Chiesa – compiano un gesto così prevaricatorio sul bambino, decidendo per lui.
Tanto la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea dell’ONU nel 1959, quanto la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, del 1948, prospettano diritti e doveri che andrebbero rispettati, in adempimento della stessa Costituzione Italiana che stabilisce, all’articolo 2, che: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”.
Le Dichiarazioni succitate, rispettivamente recitano: è diritto del fanciullo: essere protetto da comportamenti o influenze che possano indurlo a qualsiasi forma di discriminazione razziale, religiosa o di altro genere. Egli deve essere educato in uno spirito di comprensione, di tolleranza, di amicizia tra tutti i popoli, di pace e fraternità universale e nella consapevolezza che dovrà porre le proprie energie e i propri talenti al servizio dei suoi simili; mentre, rientra nei doveri dei genitori: prefiggersi di insegnare il rispetto della dignità della persona umana e di rafforzare l’effettivo riconoscimento dei diritti e delle libertà fondamentali… L’adempimento di questi doveri, che grava sugli adulti, nei quali si sostanziano i diritti fondamentali, è volto a consentire al minore di sviluppare il senso di responsabilità morale e acquisire le competenze necessarie per la piena appartenenza alla collettività sociale e politica e, in una più ampia prospettiva, alla grande famiglia umana.

Come si evince da queste normative, che servono a conferire dignità a tutti gli esseri umani, il bambino va educato, protetto e istruito. È dovere dei genitori instillare nel bambino il senso di responsabilità, aiutandolo ad acquisire le competenze per la piena appartenenza, in ambito sociale. Questo principio non contempla affatto, per quel che attiene la scelta della religione, che questa debba essere fatta dai genitori o dalla Chiesa, per conto del bambino.
Il genitore deve limitarsi a indirizzare il figlio verso una determinata fede religiosa, perché in questo ne ha il pieno dovere, e adempirebbe al proprio ruolo genitoriale; ma tra indirizzare e decidere o scegliere per lui, c’è una sostanziale differenza.
La Chiesa, dal canto suo, ha fatto di tutto per trovare ogni giustificazione teologica per mantenere il pedobattesimo tra i suoi ‘sacramenti’, ipostatizzando la coscienza(#) di chi si dice cattolico, anche solo per tradizione tramandata da generazioni, e ottenendo l’adesione della coscienza operante nell’interiorità dei singoli.

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Bibliografia
Karl Barth, Il fondamento della vita cristiana, Casa Editrice Battista, 1976
Jüngel Eberhard, Il battesimo nel pensiero di Karl Barth, Claudiana - Torino - 1971
Giuseppe Scarvaglieri, Sociologia della religione, Editrice Pontificia Università Gregoriana,2005
(*) I dati di cui sopra, sono stati rilevati da indicatori socio-demografici,
dalla CEI, dall’ISTAT e dal CESNUR.

(#) = Significato dell'espressione: le acrobazie teologiche per sostenere i dogmi e gli insegnamenti dottrinali, hanno persuaso e indotto taluni a "ipostatizzare la propria coscienza", nel senso che trasformano un semplice concetto, in qualcosa che ci si convince abbia una concretezza ontologica, arrivando al punto di interiorizzarla, facendola propria e vivendo quel concetto astratto, come qualcosa che ha sostanza ed essenza.
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Postfazione a cura di Carlo Siracusa, al libro di Francesco Arduini, intitolato: “Il battesimo dei bambini, un'ipotesi sulle origini”. - Casa Editrice: Aracne - Maggio/2010

Estratto di questa postfazione, pubblicata su: http://www.instoria.it/home/battesimo_infanti.htm

Ciro il Grande, re di Persia

precursore dei diritti umanitari
di Carlo Siracusa




Ciro il Grande, fondatore dell'Impero Persiano, figlio di Cambise I, nacque 590 anni prima di Cristo. La sua comparsa nella scena mondiale era attesa, poiché Isaia aveva profetizzato di lui:“Io dico a Ciro: Mio pastore; ed egli soddisferà tutti i miei desideri, dicendo a Gerusalemme: Sarai riedificata; e al tempio: Sarai riedificato dalle fondamenta. Così parla il Signore al suo unto, a Ciro, che io ho preso per la destra per atterrare davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui le porte, in modo che nessuna gli resti chiusa.” (Is. 44:28-45:1)
La storia attesta l'esistenza di questo personaggio, e due particolari eventi biblici lo vedono come protagonista principale: la conquista di Babilonia, con il conseguente rimpatrio degli israeliti esiliati, e la profetizzata ricostruzione del tempio e della mura di Gerusalemme.

La conquista di Babilonia

Nel 18° anno del regno di Nabucodonosor II, re di Babilonia, Sedechia, governatore della Giudea strinse un'alleanza con l'Egitto, per garantirsi forza militare, contro Babilonia. L'inganno di Sedechia, indusse il re Babilonese a non concedere attenuanti verso il suo vassallo infedele, così mosse un feroce attacco contro la capitale Giudea che venne data alle fiamme, il tempio che Salomone aveva costruito venne saccheggiato e distrutto, le imponenti mura della città furono abbattute, Sedechia, i suoi figli, i sacerdoti e i funzionari furono uccisi, e tutto il rimanente della popolazione venne deportato a Babilonia.
Isaia, però, aveva predetto le parole riportate sopra, menzionando per nome un certo Ciro, quale “unto” (ebraico “mashìach”: messia, greco “christòs”: cristo) o “scelto” per un compito speciale: riedificare la città santa e il suo tempio, e fare rientrare in patria i deportati. Queste parole di Isaia, furono scritte centoquarant’anni prima della distruzione del tempio. La desolazione di Gerusalemme durò settant'anni, sicché Ciro, leggendo Isaia, si considerò preordinato per volere divino e, come testimonia lo storico Giuseppe Flavio, “fu preso dal forte desiderio e dall’ambizione di fare ciò ch’era stato scritto; e, avendo convocato gli Ebrei più illustri di Babilonia disse loro che li lasciava tornare al loro paese nativo, e riedificare sia la città di Gerusalemme che il tempio di Dio, poiché Dio, egli disse, sarebbe stato il loro alleato ed egli stesso avrebbe scritto ai suoi governatori e satrapi che erano nelle vicinanze del loro paese affinché dessero loro contribuzioni di oro e argento per edificare il tempio e, inoltre, animali per i sacrifici”. - (Antichità giudaiche, XI,1)
Così, guidato dal Dio d'Israele, Ciro il Grande pianificò un'incursione nella città caldea, affinché tutto avvenisse com'era stato preannunciato: “E Babilonia, l’adornamento dei regni, la bellezza dell’orgoglio dei caldei, deve divenire come quando Dio rovesciò Sodoma e Gomorra... Ne farò un possesso di porcospini e stagni d’acqua folti di canne, e certamente la spazzerò con la scopa dell’annientamento.”- (Is. 13:19; 14:23) Proprio come aveva preannunciato Isaia, così avvenne! Ciro occupò la città approfittando della distrazione dei babilonesi, impegnati nel banchettare tra gozzoviglie e ubriachezze, tanto da esser presi completamente alla sprovvista.
Secondo il racconto dello storico greco Erodoto di Alicarnasso, (484 a.C.- 425 a.C.) Babilonia era attraversata dal fiume Eufrate, le cui acque riempivano l'enorme fossato che la circondava. Questo rendeva quasi impossibile prendere d’assalto le imponenti mura di Babilonia. Lo scrittore greco Senofonte (circa 430 a.C.-355 a.C) racconta della soluzione escogitata da Ciro nel deviare le acque del fiume Eufrate, attraverso appositi canali che abbassando il livello del fiume, lo resero guadabile. Mentre la città era in festa, gli uomini di Ciro risalirono il letto del fiume fin oltre le mura della città, e penetrarono attraverso le porte di bronzo che la circondavano, cogliendo le guardie alla sprovvista. In una sola notte la città fu conquistata. Come attesta un importante documento storico, forse il più affidabile resoconto della caduta di Babilonia, noto come “Cronaca di Nabonedo”, l’esercito di Ciro entrò in Babilonia “senza colpo ferire”, praticamente senza combattere una vera e propria battaglia. Il re Nabonedo si arrese, e poiché non oppose resistenza, fu mandato a trascorrere il resto della sua vita in Carmania. Babilonia fu saccheggiata e distrutta. Ancora oggi, le sue mura diroccate e cadenti, attestano l'attendibilità di quanto fu accuratamente predetto da Isaia, nel suo omonimo libro.

Il rimpatrio degli israeliti

Nella sua narrazione storica, Giuseppe Flavio scrive: “Nel primo anno del regno di Ciro - il settantesimo anno da che il nostro popolo era stato costretto a emigrare dal suo paese a Babilonia - Dio ebbe pietà della cattività e della sventura di quegli infelici e, come Egli aveva predetto loro mediante il profeta Geremia prima che la città fosse demolita,... e subìto questa schiavitù per settant’anni, Egli li avrebbe ristabiliti nel paese dei loro padri ed essi avrebbero riedificato il tempio e goduto l’antica prosperità.” - (Antichità Giudaiche)
Nel 1879 è stata rinvenuta una famosa iscrizione in accadico cuneiforme, nota come il Cilindro di Ciro, (559-529 a.C.) in cui si afferma che, dopo aver conquistato Babilonia, Ciro il Grande restituì i prigionieri, le loro immagini, i loro santuari, i loro abitanti e le loro abitazioni, al loro luogo d'origine. Per certi versi, come affermano alcuni, questo documento può essere considerato la prima carta dei diritti umani della storia, poiché il re persiano seguì una politica umanitaria e tollerante nei confronti dei popoli vinti.



Questo documento archeologico conferma la narrazione biblica di Esdra, sacerdote, studioso e scriba, il quale, riferendosi al decreto emanato da Ciro, incoraggiò il rimanente degli Israeliti esiliati, a ritornare a Gerusalemme per riedificare il tempio dedicato al loro Dio (Esdra 1:3) E così avvenne! Dopo 70 anni di esilio in Babilonia, e un viaggio che durò circa quattro mesi, in 50.000 fecero ritorno alla loro patria, portandosi dietro persino gli oggetti sacri destinati all'adorazione nel tempio, a suo tempo saccheggiati dai Babilonesi. L'opera di ricostruzione durò più del dovuto, giacché fu ostacolata dai nemici samaritani, ma ripresa successivamente sotto il re Dario, il quale, rifacendosi al decreto di Ciro, autorizzò la il completamento dei lavori di ricostruzione.


Articolo apparso nel nr° 12 di: “InStoria - quaderni bimestrali di percorsi storici” - Maggio 2010 – Ginevra Bentivoglio Editoria

La Chiesa di Scozia

vicende storiche sui culti scozzesi


di Carlo Siracusa


Durante i quattro anni di regno di Maria Tudor (1554-1558), l’Inghilterra conobbe la restaurazione cattolica e la brutale persecuzione dei riformati, al punto che fu attribuito alla regina il nome di Maria la Sanguinaria. Il parlamento riconobbe la successione ad Elisabetta, ma questo fece scaturire grossi problemi con i cattolici, per via del fatto che la sua nascita avvenne da un matrimonio non riconosciuto. Nonostante sussistesse la minaccia di un’unione franco-anglo-scozzese, e benché Elisabetta avesse una posizione antipapale, la Spagna continuò a sostenerla. Elisabetta, evitò che l’Inghilterra fosse trascinata in pericolosi conflitti; intervenne in Scozia stipulando la pace di Edimburgo, che liberava il regno scozzese dalla tutela francese, e lasciò larghi margini di libertà e di scelta. I cattolici appoggiavano Maria Stuart, regina di Scozia, sposata con Francesco, erede del re di Francia Enrico II. Quando nel 1559 morì Enrico II, Maria Stuart poté aspirare oltre al regno di Scozia e d’Inghilterra anche a quello di Francia.

Viste le richieste espresse dalla nazione, Elisabetta affrontò, prima di ogni altra cosa, la questione religiosa, riaffermando la supremazia della corona sulla chiesa, abolendo la giurisdizione pontificia in Inghilterra e ripristinando il Prayer Book (Il libro di preghiere) un testo liturgico ufficiale, scritto in lingua inglese, che sostituiva i testi liturgici in latino della chiesa cattolica.
Il Prayer Book fu preparato dall’arcivescovo Cranmer: la sua prima edizione fu quella del 1549, ancora vicina alla liturgia e ai dogmi della chiesa cattolica, la seconda edizione fu quella riconfermata da Elisabetta, una versione che risentiva dell’influenza protestante. Quel testo, anche se con qualche piccolo cambiamento, è ancora oggi il libro ufficiale della chiesa anglicana.

Nei primi anni del suo regno, Elisabetta fu piuttosto tollerante verso le altre forme di culto, per i cattolici e per i calvinisti (chiamati anche puritani). Gradualmente l’Inghilterra prese posizione a favore dei protestanti. La posizione di Elisabetta fu maggiormente rafforzata dagli avvenimenti in Scozia; si formò una coalizione di forze religiose protestanti e politico-sociali.
I Lords della Congregazione (la nobiltà) che avevano accettato la Riforma, costituirono l'elemento di forza nella rivolta religiosa e nazionale che, con l’aiuto degli inglesi, trionfò sulla fazione cattolica e francese. Col trattato di Edimburgo (1560) la Francia ritirò le sue truppe dalla Scozia e riconobbe le autonomie religiose e politiche del paese.

Dopo la morte del marito Francesco II, Maria Stuart si trasferì dalla Francia in Scozia (agosto 1561) e si riservò il diritto di praticare il culto cattolico. L’indignazione del paese per i sospetti che fosse stata la regina ad aver fatto uccidere il marito, favorì il successo della rivolta: nonostante l’appoggio di una parte della nobiltà cattolica, le truppe di Maria furono sconfitte, la regina fu fatta prigioniera e costretta ad abdicare in favore del figlio Giacomo VI. Nel 1568 la regina si rifugiò in Inghilterra, ponendosi nelle mani di Elisabetta. Elisabetta, sulla base delle prove di colpevolezza fornite dagli scozzesi, avrebbe potuto far condannare ed eliminare Maria, ma preferì tenerla prigioniera. La prigioniera divenne un pericoloso punto di riferimento per intrighi e congiure. La situazione internazionale andava deteriorandosi. La condanna e l’esecuzione della regina di Scozia, non furono che il casus belli di un conflitto ormai inevitabile (1587).

L’anima della riforma religiosa in Scozia fu John Knox, il quale organizzò la chiesa presbiteriana (calvinista) grazie alla partecipazione popolare. Furono proprio John Knox e la chiesa presbiteriana a tener testa a Maria Stuart. La chiesa presbiteriana prende la sua denominazione dai “presbiteri”, gli anziani che formavano il consiglio della chiesa calvinista. L'Assemblea Generale della chiesa divenne l’espressione dei sentimenti nazionali e religiosi degli scozzesi.
Giacomo VI (Stuart), cercò di liberare il paese dai resti del cattolicesimo in forma di vescovi, diocesi e parrocchie, istituendo un sistema presbiteriano, gestito da ministri e anziani. Ma il presbiterianesimo con la monarchia erano incompatibili, così si tornò al sistema episcopale. Alla morte di Giacomo VI (1625) la chiesa di Scozia aveva già vescovi e arcivescovi. L'Assemblea Generale si incontrava soltanto nei posti e nei tempi approvati dalla Corona.
Nel 1638, buona parte degli scozzesi si dichiararono contrari al Prayer Book e alle innovazioni liturgiche, firmando il National Covenant. Il Prayer Book fu dichiarato illegale, fu abolito l'ufficio di vescovo e così la chiesa di Scozia si fondò sul sistema presbiteriano, alla base ancora oggi del sistema di governo della chiesa di Scozia. Nel 1733, un dissenso circa la nomina dei ministri, portò alla scissione di diversi gruppi, che culminò nello scisma del 1843, quando 450 ministri abbandonarono la chiesa per formare la Libera Chiesa di Scozia (Free Church of Scotland), libera perché non statale.
In seguito, (1921) il Parlamento Britannico approvò una legge (Church of Scotland Act) che servì a mettere fine alle dispute tra Parlamento e Chiesa, riconoscendo l'indipendenza della chiesa di Scozia nelle questioni spirituali. Ne conseguì un risanamento di alcuni scismi, (1929) benché alcune denominazioni rimangono tutt'oggi separate.
La chiesa di Scozia, oggi conta circa un milione e mezzo di fedeli; è la chiesa nazionale scozzese, madre del mondo riformato presbiteriano. Il culto e gli edifici sono piuttosto sobri e disadorni, con il pulpito che è il centro dell'attenzione dei fedeli. La chiesa di Scozia lascia libertà di opinione nelle questioni che riguardano la fede, la teologia e l'interpretazione delle Scritture. Considera la Bibbia come Parola di Dio; non ha più un libro di preghiere obbligatorio; riconosce come sacramenti la Santa Cena, (che alcuni la celebrano una volta al mese, mentre altri mediamente quattro volte l'anno), e il battesimo (praticato su adulti e bambini).
All'annuale Assemblea Generale della chiesa di Scozia, la regina è rappresentata, in sua assenza, da un Alto Commissario (Lord High Commissioner), diretto rappresentante della monarca, per quanto il suo ruolo sia puramente formale. Un importante ruolo che ha avuto la chiesa di Scozia è stato quello di educare la popolazione scozzese alla lettura della Bibbia.
Nel maggio dello scorso anno, ha fatto discutere la nomina a responsabile della parrocchia Queen’s Cross Church di Aberdeen, del reverendo scozzese Scott Rennie, omosessuale dichiarato. Lo ha deciso l’Assemblea Generale della chiesa di Scozia, nonostante le proteste dei membri piu’ tradizionalisti. L’Assemblea si e’ espressa con 326 voti favorevoli e 267 contrari.


Articolo apparso sul nr°11 della Rivista "InStoria - Quaderni di Percorsi Storici", edita GBEditoria